Il campione che l'Italia ha abbandonato. Libero per Schwazer: "Preso per il culo"
Noi ancora non lo sappiamo, ma Alex Schwazer ha ammazzato qualcuno. Non c’è altra spiegazione. Tra l’altro non deve avere ucciso «uno qualunque», un povero cristo, semmai il parente di qualcuno che conta: un bis-nipote del presidente Iaaf (federazione internazionale di atletica leggera), lo zio di un capoccione della Wada (l’agenzia mondiale antidoping). Viceversa non si spiega l’accanimento, il trattamento ai limiti della presa per il culo (e perdonateci il «culo», ma quando ci vuole ci vuole) che il mondo dell’atletica sta riservando al nostro marciatore e, di riflesso, anche a noi italiani.
FUORI TEMPO
Schwazer conoscerà il suo destino - ovvero la decisione sul farlo o non farlo gareggiare a Rio - «entro venerdì», che poi è il giorno della 20 km, una delle due gare alle quali vorrebbe partecipare (per provare a vincerle, tra l’altro). L’ha deciso il Tas (Tribunale Arbitrale dello Sport), chiamato a trovare una risposta al seguente domandone: è Alex un dopato recidivo e quindi figlio di buona donna? Si è effettivamente «strafatto» di anabolizzanti l’1 gennaio scorso e merita quindi pernacchie e radiazione (8 anni, richiesta della Iaaf)? Avremmo dovuto scoprirlo nella notte italiana di lunedì ma, «chi comanda», ha scelto di rimandare ulteriormente ogni decisione (il primo rinvio senza senso è del 27 luglio, firmato dai «soliti» responsabili Iaaf).